Chi Sono

Saida Palladino
Archivista Storica

Laurea (vecchio ordinamento) in Lettere Moderne, tesi  in Storia sociale ed economica del Medioevo, conseguita presso l’Università degli Studi di Milano.

Laurea Magistrale in Storia e Documentazione Storica, tesi in Storia dell’industria, conseguita presso l’Università degli Studi di Milano.

Diploma in Archivistica, conseguito presso Scuola Vaticana di Paleografia Diplomatica e Archivistica, Città del Vaticano.

La costituzione di un archivio e la narrazione della propria storia d’impresa offrono la possibilità di una maggiore creatività aziendale. Preservare, ordinare, valorizzare la propria memoria è un gesto di civiltà a beneficio della società, ma è anche un conoscere le proprie radici e la propria storia, per cogliere nuove idee nella libertà e nel rispetto della propria tradizione e della propria identità.

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La Storia

Un uomo può essere schiacciato dal peso della propria conoscenza ed esperienza, prigioniero in un tempo sospeso, sognato, pensato o misurato….

Un archivio è il viaggio in quel tempo sospeso, dove il sapere diventa il gesto più intimo di una consapevole conoscenza

In uno dei consueti “bilanci di vita” che ognuno di noi fa, proporzionali, per intensità e frequenza, agli anni trascorsi e all’esperienza maturata, mi sono sorpresa a constatare quanto la disciplina archivistica avesse inaspettatamente e profondamente inciso nella mia esistenza. Non mi riferisco al solo ambito professionale, ma ad un aspetto più intimo e privato. Mi sono imbattuta in questa disciplina nel corso dei miei primissimi studi universitari, mi aveva suscitato un interesse schiettamente teorico che si era poi concretizzato, per caso,  in una breve esperienza presso la RCS. Qui la teoria si era incarnata in file di schedari  distribuite in uno dei soliti luoghi deputati alla conservazione archivistica, un sotterraneo punteggiato da una miriade di neon, illuminato dalla sola luce artificiale. Gli archivi se ne stanno spesso in queste zone remote e silenziose, luoghi della memoria sospesi nel tempo, dove si offrono a chi ha la pazienza di scorrere le loro carte. Una pazienza necessaria per capire quel tutto organico di un archivio, dove per comprendere, l’occhio legge rapidamente e, a volte si sofferma su una riga. Basta poco in un archivio, basta una riga, perché si possa accendere una curiosità, si possa sorridere, divertirsi, sorprendersi o fermarsi a pensare. In quel sotterraneo, lontano dalla luce del giorno, ho imparato ad apprezzare i dettagli di quelle carte, ho incominciato ad immaginare gli uomini e le donne che le avevano redatte, a sentire la loro voce e a leggere, insieme a questa, i loro scritti. In quel sotterraneo mi sentivo perfettamente a mio agio. Ero, però, decisamente più giovane per non sentire anche il desiderio di respirare i raggi del sole. Conclusa, quindi, quell’esperienza mi ero dedicata ad altro, finché, nuovamente, gli archivi non tornarono a far sentire la loro voce.

Anche questa volta fu la casualità, il desiderio di ritrovare, diversi anni dopo la maturità liceale, la mia insegnante d’italiano, suora coltissima e sempre stimata. Ritiratesi dall’insegnamento attendeva, non senza preoccupazione, alla sistemazione della carte ottocentesche dell’archivio della Congregazione a cui apparteneva  e alle proprie. Queste ultime, mescolate ormai indissolubilmente a quelle dell’Istituto di antica fondazione, erano state prodotte nel corso di uno studio trentennale, in occasione del processo di beatificazione del fondatore dell’Ordine delle Suore di Santa Marcellina. Lei necessitava di un aiuto per sistemarle ed io, da parte mia, ero ben lieta di offrirglielo. Oltre alla stima, avevo anche qualcosa da farmi perdonare da quella suora rigorosa ed intellettualmente onesta. Non avevo dimenticato, nonostante gli anni, quanto l’avevo fatta infuriare e disperare con quella modalità di rompere lo schema precostituito di un ragionamento con una meticolosa analisi e ricostruirlo senza mai offrire un’unica soluzione conclusiva o, peggio, senza offrirne alcuna. Sui banchi di scuola, inconsapevolmente, toccavo ciò che le era più caro, la sua profonda fede religiosa che passava dalla necessità di riconoscere la stabilità della natura umana, contro ogni relativismo. L’archivistica e le sue regole riescono, però, a volte, laddove il proprio ragionare fallisce. Lo spirito educativo di una vecchia insegnante e il desiderio di conoscere di una vecchia allieva, attraverso la comune preoccupazione per quelle carte, avevano creato uno spazio più denso e profondo del sapere, dove preservare e tramandare quei documenti era ancor prima di un atto del pensiero, un moto del cuore. Diventava, prima di ogni idea, un sentimento, che passando da un’incondizionata fiducia reciproca, si era aperto in un gesto di generosità e di speranza per e nel futuro.

Quando quell’antica insegnante venne a mancare (e quanto ha saputo mancare!), fui chiamata a continuare il suo operato. La responsabilità per quel carico di lavoro che, a mano a mano, diventava sempre più imponente, con filoni documentari ancora tutti da esplorare, mi portò alla necessità di acquisire una formazione più solida. Una formazione che non volevo, però, dimenticasse, la delicatezza dell’approccio verso quella complessità documentaria, frutto dell’esperienza e dell’attività di una Congregazione religiosa a cui ero legata come ex allieva e nel ricordo della mia insegnante. E’ nata così la scelta della Scuola Vaticana la cui frequentazione, è, a tutt’oggi, ricordo indelebile.  Molti si chiederanno, aldilà della necessità di acquisire una comprovata capacità professionale, quale possa essere la necessità ed il gusto di esercitarsi sugli innumerevoli documenti, procedere alla rigorosa analisi formale e contenutistica al fine di giungere alla più sintetica descrizione possibile dei medesimi , senza la perdita dei dati essenziali per la loro completa individuazione. Rispondere a questa domanda è, per me, cercare di spiegare che cosa si può trovare e vedere nella disciplina archivistica. E’ difficile rispondere perché è qualcosa di estremamente soggettivo, personale ed intimo, così come soggettivo, personale ed intimo è inevitabilmente lo sguardo che un archivista utilizza per gestire un fondo. Posso sicuramente dire che il costante allenamento di analisi -sintesi e viceversa mi ha portato a vivere più intensamente e consapevolmente i momenti. Ogni viaggio di andata e ritorno a e da Roma, ogni volta che andavo ad una lezione di archivistica, ogni volta che ne uscivo, è stato come se ogni cosa vissuta, ogni parola detta o ascoltata fosse rimasta lucidamente viva in ogni suo dettaglio. Posso ancora ripercorrere la strada che facevo a piedi fino a Porta S. Anna e risentire il profilo duro e tagliente di ogni sanpietrino sconnesso, posso ricordare distintamente  i suoni, i colori, i sapori della stagione romana, le voci e le parole dei miei compagni di viaggio sul treno ad alta velocità che mi conduceva a destinazione.

E’ stata, ancora, la disciplina archivistica a venirmi in soccorso per la tesi  di chiusura del corso di laurea in Storia intrapreso, in quegli stessi anni. Avevo scelto di ricostruire una storia d’industria, cominciando e basandomi sulle fonti archivistiche. Mi ero fermata, rendendomi conto che io stessa stavo vivendo la mia vita e una mia storia di ordinaria quotidianità e che tutto questo non mi permetteva un approccio oggettivo alle fonti, dove il mio sentire, il mio pensare ed il mio vissuto ne condizionavano necessariamente le scelte e le domande che scaturivano da quella ricerca. Toccavo le carte, ne sentivo l’odore, ne saggiavo la consistenza e comprendevo che ogni domanda sorgente era pesantemente condizionata dalla mia esperienza, da quello che mi era capitato anche solo qualche minuto prima, dai limiti del mio ragionare, dalle mie idee, dalle mie passioni. Mi ero fermata non sapendo più come raccontare una storia e quella storia che dovevo raccontare. In quel vedere davanti a me sciogliersi strutture e certezze, si era fatta strada una domanda poco confortante: Ma che cos’è la storia? Al solo pensarlo, mi sentii gelare il sangue nelle vene poiché dovevo stendere una tesi di chiusura di un percorso di studi in una disciplina dove, a quanto pareva, avevo capito poco o nulla. E’ stata la disciplina archivistica e la sua pratica a farmi uscire dall’impasse in cui ero finita, a soccorrermi e a ricordarmi di ritrovare e ripartire da quei vincoli logici e necessari. Le parole del professor Giorgio Cencetti risuonavano chiare, dovevo seguire le carte, senza pensare e senza costruire aprioristiche teorie, non dovevo prestare attenzione a me, ma solo ai documenti e ai fatti, e l’archivio, la storia, si sarebbe riordinata da sé. Eppure attraverso quel rigoroso ed estremo metodo storico cencettiano ritrovavo più che mai le radici della mia soggettività, e specificità, della mia umanità che ora potevo accettare senza esclusioni. Fortunatamente in archivistica esiste uno spazio per un errore, per una stranezza inattesa della vita o una bizzarria del caso, per una violenza che distrugge, per una distrazione che disperde. E’ uno spazio che va rispettato ed accettato, perché è storia, è storia di quell’archivio e di nessun altro e c’è sempre un possibile ordinamento che può contenerlo. Quando si arriva qui, a questa constatazione, dove si vede la vita, la propria vita, rispecchiata in una disciplina studiata, si tira un sospiro di sollievo, si trova pace. Si sa che, anche se ci si perde dentro la vita, c’è una disciplina con le sue regole e le sue eccezioni a cui si può guardare, su cui si può riflettere per ritrovare il filo perso.

Rimane, però, la tentazione di voler trovare e vedere se esiste, davvero, un ordinamento ultimo, che vincolato necessariamente, logicamente ed indissolubilmente a tutti gli altri ordinamenti, tutti li contenga. Ma questa è un’altra storia, cara, forse, ad un uomo che vuole guardare con fiducia in se stesso e nella reciprocità dei rapporti; cara, forse, alla scienza, che ha bisogno di avere fiducia nel genere umano e nei suoi mezzi; cara, sicuramente, alla mia vecchia insegnante d’italiano, che quell’ultimo ordinamento chiamava Fede. Questa è un’altra storia di instancabile ricerca, cara a me.